Le auto bloccate dalla crisi dei chip

18 ottobre
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Prima il virus, adesso i chip. Non c'è pace per l'automotive: dopo un 2020 caratterizzato dalla pandemia, adesso il settore si trova ad affrontare una nuova crisi, collegata alla prima, ma forse anche peggiorare in termini economici. La problematica nasce dalla carenza dei cosiddetti semiconduttori, componenti utilizzati per realizzare i chip che sono alla base di tutti i sistemi elettronici che troviamo nelle auto moderne e in altri strumenti di uso comune, come gli smartphone o i computer. In un mondo in cui siamo letteralmente circondati da chip, la mancanza di questi elementi, minuscoli ma allo stesso tempo fondamentali, si traduce inevitabilmente in un duro colpo per tutti i settori, in particolare per quello dell'auto, con le case automobilistiche alle prese con il crollo delle vendite e stime di crescita al ribasso. Un guaio innescatosi durante il lockdown, che adesso mostra i suoi effetti nefasti. 

L'inizio della crisi dei chip

Il fattore scatenante degli eventi che hanno portato alla crisi attuale è stata sicuramente la pandemia, anche se la crisi vera e propria ha origini ancora precedenti. L'aumento di domanda di dispositivi elettronici registrata negli ultimi anni ha portato maggiori investimenti sulle produzioni di chip destinati a prodotti di consumo, come appunto smartphone e simili. Quando l'arrivo del virus ha reso necessario un duraturo lockdown, le vendite di automobili sono crollate, mentre la domanda per i dispositivi elettronici è cresciuta ulteriormente, costringendo le aziende che producono semiconduttori, situate soprattutto in Asia, ad incrementare la produzione e a dirottare sull'elettronica di consumo anche le quote destinate all'industria dell'automobile. Una tempesta resa ''perfetta'' da due gravi incidenti avvenuti all'inizio del 2021: l'incendio alla Renesas Electronics, azienda giapponese che produce componentistica elettronica, e il ''blocco'' del canale di Suez avvenuto a marzo, che ha paralizzato per giorni gli scambi tra Asia ed Europa. 

Una situazione descritta anche a Today da Simone Marinelli, Coordinatore nazionale automotive della Fiom-Cgil: ''Il problema nasce da due elementi.Il primo è legato all'avanzamento tecnologico che prevede un uso sempre maggiore di componenti elettronici all'interno delle automobili. Rispetto ad un veicolo di 10 anni fa la presenza di questa componentistica è aumentata e continuerà a farlo con l'avanzare del progresso, con la domanda che quindi continuerà ad aumentare. Inoltre, quando è scoppiata la pandemia, molte fabbriche si sono fermate e  produttori di conduttori e semiconduttori, che si trovano per lo più nel Sud-Est asiatico, hanno spostato la domanda su altri settori. Adesso, per recuperare il bilanciamento con tutti i comparti sarà necessario aspettare qualche mese. Il secondo elemento sono i mancati investimenti: prevedendo l'avanzamento tecnologico, sarebbe stato utile investire, sia in Italia che in Europa, nella produzione interna di questi componenti che saranno sempre più richiesti''.

Gli effetti della crisi

Cosa succede quando ad un intero settore viene a mancare un componente fondamentale per la realizzazione di un prodotto? Dopo la chiusura temporanea di svariate fabbriche avvenuta durante il lockdown, i fornitori hanno dovuto organizzare in maniera differente la produzione, lasciando a bocca asciutta l'automotive. Adesso che il mercato della quattro ruote è ripartito le aziende che producono semiconduttori devono ripristinare l'equilibrio cercando di accontentare tutti i settori, un processo che non può certo avvenire dall'oggi al domani. In attesa di un ritorno alla normalità, le case automobilistiche hanno dovuto prendere scelte drastiche: c'è chi ha interrotto o ridimensionato intere linee produttive, chi ha eliminato alcuni optional e chi ha rimandato il lancio di nuovi modelli.

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La crisi ha colpito colossi come General Motors e Ford negli Stati Uniti o Nissan e Honda in Giappone, ma la situazione coinvolge anche tutta l'Europa. In Germania alcune fabbriche hanno chiuso, altre hanno dovuto far ricorso ad orari imprevedibili e disoccupazione parziale. In Turchia ci sono giorni di disoccupazione, in Spagna ne sono previsti tra i 45 e i 60 entro la fine dell'anno, mentre in Francia gli operai della Renault godono del 100% del salario con orario ridotto soltanto grazie ad un accordo tra sindacati e direzione. In Italia è emblematico il caso dello stabilimento Iveco di Brescia, che rimarrà chiuso dal 18 al 22 ottobre per mancanza di semiconduttori, chip e parti elettroniche. 

Ma gli effetti sul panorama italiano sono ancor più pesanti. Ad agosto la produzione di autoveicoli  è calata del 37,4% rispetto al mese precedente, in cui la carenza dei semiconduttori non si era fatta sentire in modo così sensibile. Una crisi che alcuni addetti ai lavori hanno definito ''disastrosa'' che diventerà sempre più seria nell'immediato futuro, con i consumatori che dovranno fare i conti, non soltanto con prezzi più elevati, ma anche tempo d'attesa raddoppiati, se non addirittura triplicati, per ottenere i veicoli ordinati.

Chi ci guadagna

Come ogni crisi che rispetti, se c'è una parte in difficoltà ce n'è anche una che può sorridere, in questo caso i produttori di componenti elettronici. Le esportazioni della Corea del Sud dei prodotti della tecnologia dell'informazione e della comunicazione (Itc) hanno raggiunto il record mensile a settembre, con quelle dei semiconduttori che sono aumentate del 27,4%. La la Taiwan Semiconductor Manifacturing Co. (Tsmc), il grande produttore mondiale, ha chiuso il bilancio relativo al primo semestre del 2021 con un +20%, mentre le prospettive future per l'intero mercato sono a dir poco rosee. Secondo i dati del World semiconductor trade statistic, il mercato mondiale del chip nel 2021 ha raggiunto un giro d'affari di 550 miliardi di dollari, compiendo un balzo rispetto al 2020 del 25%.

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Una corsa che non farà che proseguire incessante nei prossimi anni: secondo le stime i ricavi globali legati a questi componenti arriveranno a raggiungere i 606 miliardi di dollari. Una piatto ricco per chi batte cassa, ma ancora ''povero'' per un settore che deve affrontare la ripartenza senza l'ingrediente principale della maggior parte dei piatti sul menù, i chip.

Fonte: www.today.it

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