Pensioni: chi lascerà il lavoro dal 31 dicembre 2023

24 aprile
703 853

Ache punto è la riforma delle pensioni che era al centro dei programmi elettorali del vittorioso centrodestra? Non se ne sa più nulla, ed è altamente probabile che si arriverà all'autunno, quando si dovranno mettere le basi della nuova legge di bilancio, con uno scenario caratterizzato dalla nebbia fitta.

Nel Def, che delinea le prossime mosse di politica economica del governo, di soldi stanziati per "superare la Fornero" non c'è traccia. Autorevoli esponenti della maggioranza hanno messo in chiaro che "con pochi miliardi quota 41 non si fa, questo è chiaro". A dirlo qualche settimane fa è stato Riccardo Molinari, capogruppo alla Camera della Lega. Il Carroccio mette le mani avanti:"Non ci accontentiamo di una proroga della quota 103, il nostro obiettivo è quello di arrivare a quota 41, e migliorare quello che è stato fatto nella scorsa legge di bilancio, che sul fronte delle pensioni non è stato esaltante". Per la Lega "il tema delle pensioni è da sempre prioritario, e se anche non potremmo fare quota 41 per tutti, dal mio punto di vista dovremmo cercare di migliorare la quota 103 uscita l'anno scorso", ha aggiunto. Un giro di parole che sembra voler dire una cosa chiara: dal 31 dicembre in poi proroga secca del meccanismo di flessibilità di quota 103, magari con minimi correttivi, oltre ad Ape sociale e il canale di uscita dal lavoro per i cosiddetti "precoci".

L'appello delle principali sigle sindacali (unite sul punto) per impostare il discorso su un'uscita flessibile dal lavoro a partire da 62 anni, è caduto nel vuoto. E quota 41, la possibilità di andare in pensione con 41 anni di contributi a prescindere dall’età, costerebbe circa 4 miliardi di euro, a salire anno dopo anno. Senza ulteriori fondi il governo non farà nulla nemmeno su opzione donna. Moltissime sono infatti le lavoratrici che speravano che l'esecutivo ripristinasse i vecchi requisiti di opzione donna.

Più Ape sociale?

Il governo aveva preannunciato la fine della riforma Fornero, ma con il nostro andamento demografico riscriverla peggiorerebbe ancora il quadro nell'immediato. Secondo il presidente dell'Inps Pasquale Tridico "non ci sono le condizioni" per abolire o cambiare a fondo la riforma. Le varie quote 100, 102, 103 "non sono la soluzione - diceva la scorsa settimana -  Le quote irrigidiscono ancora di più il sistema e appesantiscono i conti. Se vogliamo trovare soluzioni non alternative ma parallele, dobbiamo pensare all'Ape sociale, all’anticipazione per i lavori gravosi e usuranti". Non c'è alcuna chance di successo per un'ipotesi organica di pensionamenti anticipati con 62 anni, per intenderci. Invece pare esserci, da tempo, una condivisione di partenza sull'approccio che ipotizza dal 2024 un graduale allargamento del bacino dell'Ape sociale, modulandola in base alle risorse che saranno realmente disponibili.

L'Ape sociale è un anticipo pensionistico che può essere la base vera, se non di una riforma, di un approccio meno rigido rispetto a quanto previsto dalla Fornero: consente il prepensionamento, senza alcun onere economico, a specifiche categorie di lavoratori che abbiano raggiunto una certa età anagrafica (più altri requisiti).  L'indennità nel periodo di riposo, prima di ottenere la pensione vera e propria, è un sussidio mensile erogato da parte dello Stato ed è destinato a soggetti - al momento basata su 63 o più anni di età in particolari condizioni di difficoltà, per esempio perché hanno svolto per anni lavori gravosi o perché assistono un coniuge con una disabilità o ancora perché si sono ritrovati disoccupati senza la possibilità di diventare a tutti gli effetti pensionati per motivi di età  - che hanno necessità di un aiuto economico prima di poter accedere alla pensione di anzianità. La misura dell'Ape sociale è stata introdotta nel 2017 e nel tempo potrebbe essere estesa a più lavoratori rispetto al passato. Siamo nel campo delle ipotesi. La realtà per ora è ben differente.

Pensioni: i canali "normali" per lasciare il lavoro in Italia

I due canali ordinari per andare in pensione nel 2023, che molto probabilmente resteranno identici o quasi anche nel 2024, sono sempre quelli disciplinati dalla riforma di Elsa Fornero, ovvero la pensione di vecchiaia e la pensione anticipata (una volta si chiamava pensione di anzianità).

La pensione di vecchiaia è usata soprattutto dalle donne perché ha come requisito per l'accesso un numero contenuto di contributi versati. Le donne in Italia spesso hanno carriere discontinue, per via della maternità, della precarietà, del lavoro di cura. Lo svantaggio è però l'età di uscita più alta di tutti gli altri canali, che viene aggiornata "a salire" periodicamente.

Quest'anno si va in pensione di vecchiaia con almeno 20 anni di contributi e 67 anni di età. Il requisito anagrafico resterà invariato fino al 31 dicembre 2024, per via della pandemia che ha aumentato la mortalità e resi nulli i due adeguamenti previsti per il primo gennaio 2021 e il primo gennaio 2023. Per raggiungere il requisito contributivo si valuta la contribuzione versata di qualsiasi tipo: da lavoro, riscatto, volontaria e figurativa.

La pensione anticipata è il canale per lasciare il lavoro, e godersi la meritata pensione, di solito scelto dagli uomini e in linea di massima da quanti hanno una carriera lavorativa lunga, senza fare una professione usurante né gravosa. Il requisito - fermo fino al 2026 e poi adeguato alla speranza di vita - è di 41 anni e 10 mesi di contributi versati per le donne e 42 anni e 10 mesi per gli uomini, senza contare in alcun modo l'età anagrafica, che è ininfluente.

Fonte: www.today.it

24 aprile
703 853