Quello che (non) si dice di Elisabetta II

14 settembre
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Si dice che la sua sveglia scattasse tutte le mattine alle 6.45, con le cornamuse che per 15 minuti suonavano sotto la finestra della camera da letto. Si dice che prima di andare a dormire sorseggiasse una coppa di champagne e che tra le sue abitudini rientrasse un aperitivo alcolico nella tarda mattinata, con cubetti di ghiaccio rigorosamente rotondi, non quadrati, per non essere troppo rumorosi quando agitava il bicchiere. Si dice che sia stata un’ottima ballerina, che amasse i musical, che avesse un debole per Cole Porter e Irving Berlin, per Ella Fitzgerald, Nina Simone e Barbra Streisand. Si dice pure che per evitare che il vento le alzasse le gonne, si facesse cucire dei piccoli pesi negli orli, che la borsetta fosse uno strategico strumento per mandare messaggi in codice al suo staff e che se avesse potuto avrebbe indossato solo il blu e il verde scuro, altro che abiti dai colori arcobaleno. 

Verità, leggende: chi può dirlo. E cosa importa, alla fine, sapere com’era davvero una regina, la regina, nel chiuso dei suoi palazzi; moglie, nonna, mamma, datrice di lavoro di governanti a cui magari avrà chiesto di passare un panno sul mobile coperto dalla polvere o di togliersi il grembiule, ché ci avrebbe pensato lei a prepararsi un sandwich veloce veloce. Cosa importa, in fondo, appurare il privato di Elisabetta quando era solo Lilibet. Tanto di lei si dice, si è sempre detto, senza timore di smentite, ché la soddisfazione di concedere rozze sconfessioni non la dava mica, quella la centellinava, la riservava a pochi casi importanti. In fondo, “never complain, never explain” si dice - anche qui, si dice - fosse il suo motto: lagnanze e spiegazioni restavano fuori dai cancelli adornati dalle regali iniziali sue, prerogative di un popolo libero di immaginarla come voleva, protagonista o antagonista di una favola che ora sì, “c’era una volta”.

La verità è che di lei si è sempre discusso, e sempre con la stessa convinzione di non poterla mai raccontare veramente del tutto. Misto di realtà e artifizio, storia e fantasia, mistero e verosimiglianza, Elisabetta - che solo una volta è stata intervistata dalla Bbc - è stata e resterà unica di un genere estinto insieme al suo ultimo respiro. Un genere che oggi si ricorda, si rimpiange o forse no, ma comunque si fatica ad afferrare fino in fondo nella complessità di un contesto attuale che esiste come la sua esatta antitesi. 

Elisabetta II tra "mai più e per sempre"

Si registra tutto, si mostra tutto, si sfoggia tutto; l’immagine è esistenza, l’apparenza è sostanza. Oggi una gioia non pare tale se non viene condivisa, un’emozione non sembra davvero profonda se non è raccontata, un sentimento c’è nella misura in cui si esprime, a parole o tramite fotografie. E quanto risuona straniante, allora, pensare che nel giorno della sua incoronazione a regina, nel 1953, la 27enne Elisabetta abbia chiesto e ottenuto che le telecamere, per la prima volta nella storia chiamate a riprendere l’evento storico, non indugiassero sul suo volto tremante di paura. “Freddezza” dirà chi comprensibilmente disapprova un eccesso di rigidità che travolge l’umana commozione; “pudore”, invece, chi considererà l’opportunità di esprimere sì un turbamento, ma a seconda delle condizioni, delle circostanze, di riservarlo solo alla confidenza dei pochi capaci di comprenderlo davvero. Si è nascosta per una vita intera Elisabetta, in pubblico era, ma solo “sua maestà”. E per come ha potuto, ha mantenuto quel granitico riserbo anche 68 anni dopo, con un cappello nero e una mascherina sul volto tenuto basso, a lutto durante i funerali del marito Filippo: seduta da sola tra i banchi della cappella di St. George c’era la regina del Regno Unito triste per la scomparsa del consorte principe di Edimburgo, non l'innamorata che sarà arrossita per un bacio, non la sposa, tenera o intransigente, accanto a lui per 73 anni. Lei, quell’Elisabetta là, noi non l’abbiamo vista mai. 

E mai più vedremo qualcuno così, qualcuno che riesca nell’impresa oggi così astrusa di essere altro e oltre, di fermare il tempo ma, insieme, di crescere e di invecchiare al suo ritmo. E sempre con gli stessi vestiti addosso, poi, così diversi ma così uguali; sempre con la stessa acconciatura cotonata, castana prima e canuta poi; sempre con la stessa coriacea inalterabilità che passava anche per un'immagine studiata affinché rimanesse tale, per rafforzare il senso di un’istituzione che, piacesse o no, lei rappresentava e garantiva. 

Il termine più abusato per descriverla in questi giorni è “icona”, “figura o personaggio emblematico di un’epoca, di un genere, di un ambiente”, per dirla con la definizione del dizionario Treccani. Epoca, genere, ambiente che nel frastuono dei cosiddetti trend durevoli quanto un capriccio social, la ricorderanno. Nel bene e nel male, memoria di un “mai più” che è già “per sempre”. 

Fonte: www.today.it

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