Alla Camera il primo sì alla legge sulla parità salariale tra uomo e donna

14 ottobre
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Un primo passo per superare il gender pay gap e le disparità tra uomini e donne sul lavoro. Dalla Camera è arrivato il via libera unanime al testo unico delle proposte di legge in materia di pari opportunità tra uomo e donna in ambito lavorativo. L'obiettivo, ambizioso, è incentivare la presenza femminile nel mercato del lavoro, rimuovendo le discriminazioni tra uomini e donne non solo per quanto riguarda il gap esistente tra le retribuzioni (il gender pay gap, appunto) ma anche per quello relativo all'accesso al lavoro e alle opportunità di crescita professionali.

Il testo è approdato alla Camera per la discussione generale lo scorso luglio e, dopo aver i 393 sì incassati e nessun voto contrario a Montecitorio, attende ora il via libera definito da parte del Senato. Le prime proposte sul tema risalgono al 2018, arrivate da quasi tutti i maggiori schieramenti. Il testo unificato votato oggi raggruppa circa una decina di proposte di legge, compreso il testo d'iniziativa del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro.

Gender Pay gap e pari opportunità sul lavoro

Tra le innovazioni, l'istituzione della "certificazione della parità di genere", con premialità, per attestare le misure dei datori di lavoro per ridurre il divario di genere su opportunità di crescita in azienda, parità salariale, politiche di gestione delle differenze di genere e tutela della maternità. Gender pay gap, quindi, ma non solo.

Il provvedimento, prossimamente al vaglio del Senato, va a modificare l'articolo 46 del codice delle pari opportunità del 2006 (di fatto mai applicato nel concreto), disponendo l'obbligo di stesura di un rapporto sul personale alle aziende con 50 dipendenti (che verrà trasmesso telematicamente al ministero del Lavoro), rispetto al limite di 100 occupati fissato in precedenza.

Le nuove norme integrano, tra l'altro, la nozione di discriminazione diretta e indiretta, includendo nelle fattispecie pure gli atti di "natura organizzativa o oraria" che sfavoriscono le donne: ad esempio quei trattamenti che, "in ragione del sesso, dell'età anagrafica, delle esigenze di cura personale o familiare, dello stato di gravidanza nonché di maternità o paternità, anche adottive", pongono o possono porre la lavoratrice in "posizione di svantaggio rispetto alla generalità degli altri" addetti, generando "limitazione delle opportunità di partecipazione alla vita o alle scelte aziendali" e creando ostacoli riguardo ad avanzamento e progressione nella carriera.

La politica unita contro il gender pay gap

"Sono cambiati tre governi in questa legislatura, cambiati i ministri, ma mai la voglia di arrivare in fondo a questa legge, e sono sicura che anche per le colleghe e i colleghi del Senato questo testo sarà una priorità", ha commentato la deputata del Pd, Chiara Gribaudo, relatrice del provvedimento approvato oggi a Montecitorio, dedicandolo "a tutte le donne che lottano dentro e fuori il Parlamento". Gribaudo ha voluto ricordare inoltre "le 470.000 donne che hanno perso il lavoro durante la pandemia", specificando che le donne sono il 56% dei laureati italiani ma "solo il 28% dei manager" e che "è ancora possibile per una donna ricevere fino al 20% di stipendio in meno del collega uomo", a parità di mansioni e ore lavorate.

Soddisfazione per il voto alla Camera è stata espressa da tutti i grandi gruppi parlamentari, dal Pd a M5s, da Italia Viva a Forza Italia alla Lega.

"Oggi un altro passo concreto nel cammino della piena parità", ha detto la ministra per le Pari opportunità Elena Bonetti, specificando che si tratta del "frutto del lavoro di tutte le forze politiche", unite in uno "sforzo di composizione, necessario per raggiungere risultati che l'Italia attende da anni". "Un'ottima notizia per il lavoro, per il Paese, un passo avanti sulla strada della parità di genere", ha affermato il ministro del Lavoro Andrea Orlando. "Rimettiamo al centro l'uguaglianza tra uomo e donna e incentiviamo le aziende virtuose in tal senso", ha aggiunto il ministro per i rapporti con il Parlamento Federico D'Incà.

Fonte: www.today.it

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