Pensioni da 64 o 67 anni, come stanno le cose: da domani lassegno è "più ricco"

25 febbraio
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Mentre da marzo 2022 l'assegno pensionistico aumenta (qui tabelle e cose da sapere), è ormai assodato che sul fronte delle pensioni di vecchiaia non ci sono novità all'orizzonte. La strada della riforma intanto è in salita: l'ipotesi 64 anni "per tutti" è la più concreta al momento.

Pensioni di vecchiaia 2023

Per l’età della pensione di vecchiaia dal 31 dicembre 2022 in avanti non cambia nulla. L'Inps con una circolare mette "i puntini sulle i". Anche nel biennio 2023-2024 si andrà in pensione a 67 anni, al pari del biennio 2021-2022. Il Covid ha tagliato la speranza di vita di tre mesi nel 2020. E dunque i requisiti restano congelati, come già aveva rivelato il decreto del ministero del Lavoro e dell’Economia dello scorso 27 ottobre.

Peculiarità della pensione di vecchiaia è tradizionalmente un requisito contributivo non eccessivamente severo – 20 anni per l’appunto – a fronte di un requisito anagrafico ben più stringente: la cosiddetta età pensionabile per il 2022 è fissata a 67 anni (stabile quindi rispetto all’ultimo triennio) per tutte le categorie di lavoratori, vale a dire uomini e donne, dipendenti e autonomi. Non ci sono modifiche all'orizzonte dunque per gli anni di contribuzione necessari per la pensione anticipata, a prescindere dall’età anagrafica: 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne. I requisiti sono stati bloccati fino al 2026 dal decreto 4 del 2019 istitutivo di Quota 100.

Vuol dire, in soldoni, che l’età di vecchiaia potrà cambiare solo a partire dal 2025. E di conseguenza i requisiti per la pensione anticipata solo dal 2027. Nessuna novità nemmeno per i lavoratori che hanno svolto mansioni gravose o particolarmente pesanti e hanno un’anzianità contributiva pari a 30 anni: possono uscire a 66 anni e 7 mesi anche nel biennio 2023-2024. Stabile anche il requisito per i lavoratori che hanno iniziayto a versare contributi dopo il primo gennaio 1996 e dunque ricadono totalmente nel contributivo: loro possono lasciare il lavoro a 71 anni, se vantano almeno 5 anni di contributi e un importo stimato di pensione futura pari ad almeno 1,5 volte l’assegno sociale (702 euro).

Se invece i contributi, i primi contributi, sono stati versati prima dei 19 anni e si è disoccupati o inabili, si può accedere alla pensione anticipata con 41 anni di contributi, requisito anche questo congelato dalla legge fino al 2026. Inps infine precisa che per i comparti di sport, difesa e spettacolo valgono ancora per un biennio (2023-24) i requisiti speciali: ballerini a 47 anni, orchestrali a 62, attori e conduttori a 65, militari a 58.

Postilla: la "pensione di anzianità" così come intesa in passato (35 anni di contributi e requisito anagrafico in ultimo pari a 62 anni o 40 anni di contributi) non esiste più: pensata in origine per permettere al lavoratore che avesse raggiunto una determinata anzianità contributiva di andare in pensione a prescindere dall’età, è stata infatti dapprima modificata nel 2004 mediante l’introduzione di requisiti aggiuntivi rispetto a quello contributivo e quindi del tutto abolita dalla riforma Monti-Fornero.

Pensioni a 64 anni per superare la Fornero

Le indiscrezioni portano invece a una riforma generale delle pensioni per superare la Fornero con i "64 anni" anagrafici al centro. Ma procediamo con ordine. C'è il piano Tridico. Il presidente dell'Inps, Pasquale Tridico, rilancia ciclicamente la proposta di erogare a chi lascia il lavoro a 64 anni solo la parte contributiva dell'assegno maturata fino a quel momento, per poi pagare la quota retributiva della pensione una volta raggiunti i 67 anni (il requisito di età fissato dalla Fornero). Il putno forte di questo piano è la sostenibilità per le casse dello stato. Secondo Tridico questo tipo di anticipo costerebbe infatti 400 milioni di euro l'anno. Una spesa molto inferiore rispetto ad esempio ai 10 miliardi di "Quota 41". A livello generale, il piano delle due quote di Tridico introduce un principio di equità sul quale si potrebbe trovare una convergenza, proprio perché non prevede penalizzazioni una volta compiuti i 67 anni, ma una riduzione per i soli primi 2-3 anni di pensione.

La linea seguita dal governo Draghi sembra più penalizzante, se si va a guardare l'assegno. La proposta messa sul tavolo di andare in pensione prima dei 67 anni della Fornero solo con il ricalcolo dell'assegno contributivo, con finestre di uscita dai 64 anni di età con almeno 20 di contributi. Se l'intesa la si vuole trovare entro poche settimane, in modo che la prima bozza di riforma delle pensioni sia scritta in tempo per il Def di aprile, il primo gradino verso la nuova legge di Bilancio, il governo potrebbe decidere di abbassare la quota di 2,8 volte l'assegno minimo (1.440 euro) per i lavoratori del contributivo intenzionati a uscire prima dell'età di vecchiaia e ad estendere la norma anche a chi usufruisce del misto. Ma in tal caso si deve contestualmente ragionare anche sulla pensione di garanzia per chi a 67 anni non avrebbe un trattamento pari ad almeno 1,5 volte il minimo (770 euro). E chi lascerà il lavoro a 64 anni avrebbe un taglio dell'assegno lieve, al massimo del 3 per cento per ogni anno di anticipo. Probabilmente meno.

Se il focus restano i 64 anni, la flessibilità in uscita si potrebbe persino raccordare a Quota 102, prevista dal governo Draghi fino al 31 dicembre, con una sorta di ponte su cui si muoverebbe la soglia anagrafica dei 64 anni (in un mix fino a dicembre con la maturazione di almeno 38 anni di versamenti), alla quale guardano da tempo i tecnici del Mef. Rimane però da calcolare il meccanismo che dovrà scattare per il calcolo dell’assegno. In sintesi: uscite possibili a partire dai 64 anni d’età, e con almeno 20 anni di contributi, e il trattamento calcolato col contributivo totale. A ritenere il mix 64+38 (ovvero Quota 102) una via percorribile anche per il futuro è il presidente di Itinerari previdenziali, Alberto Brambilla, a patto che si preveda il collegamento con l’aspettativa di vita e il passaggio al solo contributivo.

Pensioni marzo 2022: il calendario dei pagamenti

Poste Italiane comunica che le pensioni del mese di marzo "verranno accreditate a partire da mercoledì 23 febbraio per i titolari di un Libretto di Risparmio, di un Conto BancoPosta o di una Postepay Evolution". I titolari di carta Postamat, Carta Libretto o di Postepay Evolution "potranno prelevare i contanti da oltre 8.000 Atm Postamat, senza bisogno di recarsi allo sportello". In continuità con quanto fatto finora e con l'obiettivo di evitare assembramenti, il pagamento delle pensioni in contanti avverrà secondo la seguente turnazione alfabetica che potrà variare in base al numero di giorni di apertura dell'Ufficio Postale di riferimento. Pertanto, i cognomi dalla A alla B mercoledì 23 febbraio; dalla C alla D giovedì 24 febbraio; dalla E alla K venerdì 25 febbraio; dalla L alla O sabato mattina 26 febbraio; dalla P alla R lunedì 28 febbraio; dalla S alla Z martedì primo marzo.

Poste Italiane ricorda inoltre che i cittadini di età pari o superiore a 75 anni che percepiscono prestazioni previdenziali presso gli Uffici Postali, che riscuotono normalmente la pensione in contanti e che non hanno già delegato altri soggetti al ritiro della pensione, possono chiedere di ricevere gratuitamente le somme in denaro presso il loro domicilio, delegando al ritiro i Carabinieri. Le nuove modalità di pagamento delle pensioni hanno carattere precauzionale e sono state introdotte con l'obiettivo prioritario di garantire la tutela della salute dei lavoratori e dei clienti di Poste Italiane. Pertanto, ciascuno è invitato ad indossare la mascherina protettiva, ad entrare in ufficio solo all`uscita dei clienti precedenti, a tenere la distanza di almeno un metro, sia in attesa all'esterno degli uffici che nelle sale aperte al pubblico.

Fonte: www.today.it

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