Dormire bene aiuterà chi soffre della sindrome dell’occhio “pigro”

16 settembre
521 004

Bruciore agli occhi, mal di testa, vista che pare annebbiarsi. Il bambino perde spesso il segno mentre legge, o magari muove sempre il capo per seguire un testo, o ancora si “stravacca” sul banco per seguire le lezioni alla lavagna. Se nei primi giorni di scuola il bambino soffre, potrebbe avere problemi alla vista, che magari non sono stati scoperti prima. Ci vuole ovviamente il controllo dell’oculista, ma non bisogna dimenticare che l’occhio pigro va riconosciuto e affrontato. Magari anche con un’attenzione particolare al sonno.

A consigliarlo è una ricerca italiana: lo studio mostra che il sonno può aiutare a curare la sindrome dell’occhio pigro dato che contribuisce a potenziare l’attività plastica  del cervello in risposta agli stimoli visivi. La scoperta arriva da una ricerca pubblicata sulla rivista eLife e condotta da Danilo Menicucci, Andrea Zaccaro, Maria Concetta Morrone e Angelo Gemignani dell’Università di Pisa insieme a Claudia Lunghi, ex collega dell’Ateneo pisano ora all’École Normale Supérieure di Parigi.

Il sonno come cura?

La ricerca dell’Università di Pisa pubblicata su eLife ha dimostrato che dormire potenzia la risposta plastica del cervello rispetto agli stimoli visivi. “La plasticità neurale è una proprietà fondamentale del sistema nervoso che ci consente di cambiare i nostri  circuiti cerebrali in risposta alla pressione ambientale – spiega Menicucci. Questo processo è in atto tutte le volte che acquisiamo nuove nozioni o impariamo un nuovo sport, ma è grazie al sonno che i cambiamenti diventano permanenti”.

La novità dello studio dei ricercatori dell’Università di Pisa è stata quindi dimostrare per la prima volta che questa funzione del sonno vale anche per i processi plastici a carico delle cortecce visive. La questione infatti non era affatto scontata dato che la plasticità di queste strutture è tradizionalmente considerata scarsa e che, soprattutto, si basa su meccanismi  diversi da quelli alla base di apprendimenti più classici.

La sperimentazione condotta ha sfruttato le tecniche più avanzate di elettroencefalografia del sonno in combinazione con una manipolazione dell’esperienza visiva. Alcuni volontari hanno tenuto un occhio bendato per due ore e sono poi stati invitati a dormire per altre due. I ricercatori hanno così potuto verificare che gli effetti indotti dal bendaggio oculare  sono durati più a lungo di quanto sarebbe invece avvenuto se i soggetti fossero rimasti svegli.

“Il cervello di una persona adulta che venga bendata per poche ore, poi dà più importanza agli input visivi che gli arrivano dall’occhio che è stato bendato – dice Menicucci – come noi abbiamo dimostrato, il sonno aiuta a mantenere più a lungo questo sbilanciamento, specie in quei soggetti che dormendo producono più onde lente”. Le onde lente sono infatti un segnale che indica l’attività di consolidamento dei cambiamenti plastici nel nostro cervello. Dallo studio è inoltre emerso che insieme al coinvolgimento delle cortecce visive c’è anche quello delle aree cerebrali frontali, tradizionalmente legate al ragionamento e al pensiero umano, a riprova della complessa integrazione tra le aree che  è alla base del funzionamento del nostro cervello.

Importante riconoscere il quadro

I risultati di questa ricerca potrebbero contribuire a chiarire cosa succede al nostro cervello dopo una lesione e permettere l’affinamento di nuovi approcci terapeutici per la sindrome dell’occhio pigro. Ma per ora, fondamentale è riconoscere qualche segnale che qualcosa non va e far visitare il paziente dall’oculista. Fin dall’infanzia. L’occhio per la sua complessità e delicatezza  e per l’enorme quantità di lavoro che svolge va trattato con il massimo rispetto, considerazione  ed attenzione.

Tanti sono i potenziali problemi: oltre alla miopia, c’è da tenere sotto controllo l’ipermetropia, l’astigmatismo e lo strabismo. La visita, oltre a valutare se il bambino vede bene, dovrebbe anche valutare se la vista è acuta sia da lontano che da vicino, che si riescano a mettere a fuoco correttamente i dettagli e che i due occhi lavorino bene in coppia.

Tra le cose più difficili da scoprire  c’è appunto il cosiddetto “occhio pigro”, quella condizione che gli esperti chiamano ambliopia. Il fenomeno interessa almeno due piccoli su cento sotto i cinque anni, ed è legato al calo della vista in un solo occhio, con l’altro che ne vicaria la funzione. Se non si riesce ad intervenire presto – l’ideale sarebbe entro i tre anni ma almeno occorre provvedere ai tempi della scuola elementare, il problema può diventare permanente. (cioè di un occhio funzionalmente con una vista ridotta pur in assenza di  malattie evidenti).

L’ambliopia  se non trattata può comportare un deficit. La cura può prevedere l’uso di occhiali per la correzione dei difetti di vista, l’occlusione o penalizzazione di un occhio (in questo modo quello pigro può più facilmente ricuperare) ed una eventuale rieducazione fino ad un eventuale intervento chirurgico.

Fonte: dilei.it

16 settembre
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